📌 “VOGLIAMO DAVVERO CHE TUTTO TORNI COME PRIMA”?
INTERVISTA ANONIMA AD UN MEDICO IMPEGNATO IN AREA COVID-19 DI UN OSPEDALE UNIVERSITARIO PUBBLICO
➡️ Com’è cambiato il vostro lavoro durante l’emergenza?
Nonostante vari cambiamenti della nostra routine, il lavoro è sempre quello di curare i malati al meglio delle nostre possibilità; prima si faceva senza mascherina e attenzioni mediatiche, adesso si fa indossando i dispositivi di protezione individuale (DPI) ed essendo appellati a “eroi”. Sono cambiati soprattutto l’organizzazione dei reparti, dei percorsi per i pazienti e l’impegno orario. Sono state sospese le attività procrastinabili per dare spazio e personale alle attività urgenti. Sono stati creati percorsi “sporchi” per i pazienti COVID positivi e percorsi “puliti” per quelli negativi. Gli operatori sanitari sono stati assegnati a uno o all’altro percorso per minimizzare i rischi di contagio del personale e dei pazienti. Sono state inoltre create aree dedicate ai pazienti in attesa di esito del tampone o per i casi dubbi. La quantità di ore lavorate per chi è attualmente impegnato nei reparti COVID è in media di 50-60 ore a settimana (sebbene ci sia qualcuno che lavora molto meno come al solito!) quando il contratto a tempo pieno sarebbe di 38 ore. Per l’utilizzo corretto dei DPI e per la tipologia di pazienti, il livello di attenzione durante il turno deve essere massimo, per questo c’è stata la necessità di suddividere il lavoro in 3 turni (mattina, pomeriggio, notte) su tutti i giorni della settimana. I festivi sono stati di fatto aboliti ma al momento attuale forse è meglio andare a lavorare che restare sequestrati in casa. In reparto COVID, gran parte della nostra attività è focalizzata sulla gestione dell’insufficienza respiratoria, presente in quasi tutti i malati ricoverati. Per razionalizzare gli ingressi nelle stanze, talvolta il medico esegue anche procedure infermieristiche o viceversa. Inoltre ci troviamo a lavorare fianco a fianco con Dermatologi, Reumatologi, Otorini, e altri Specialisti che su base volontaria sono stati arruolati nei reparti COVID, anche se solitamente si occupano di altri ambiti. La buona collaborazione con tutto il personale e lo scambio interdisciplinare sono stati gli aspetti per me più stimolanti.
In questo periodo alcuni colleghi si sono sentiti in dovere di condividere lunghe riflessioni e selfie sui social, altri hanno lavorato silenziosamente come sempre, ma ognuno a modo suo ha contribuito con grande dedizione e professionalità a limitare gli effetti della pandemia.
➡️ Lo stesso si può dire delle Direzioni Sanitarie?
Solo in parte. In queste settimane in molti abbiamo avuto l’impressione che le Direzioni Mediche e Sanitarie abbiano spesso rincorso i problemi anziché prevenirli, nonostante fosse vivido l’esempio di altre realtà. Le direttive, quando ci sono state, sono state formalizzate in maniera poco chiara o in ritardo, quando ormai lo scenario era ulterioremente mutato e avrebbe necessitato un’evoluzione delle stesse. Certo si sarebbe potuto fare peggio, ma anche molto meglio se solo i decisori avessero messo piede qualche volta nei nostri reparti e ascoltato realmente le nostre necessità, che sono quelle dei nostri malati. Auspico che le Direzioni Mediche e Sanitarie organizzino le riaperture dei reparti della fase 2 sulla base delle necessità dei malati piuttosto che su interessi economici.
➡️ Come vengono gestiti i dispositivi di protezione individuale e le norme igieniche ambientali?
Per quanto riguarda i guanti non vi è mai stata carenza. I gel idroalcolici per il lavaggio delle mani sono stati nel primo periodo spesso sottratti (!) ma, sepppur con difformità tra reparti, non ve n’è mai stata grave carenza. Per quanto riguarda altri DPI, come mascherine chirurgiche, FFP2 e 3, camici usa e getta impermeabili e visiere, sono stati forniti ai reparti con deplorevole ritardo e successivamente con eccessiva parsimonia. La prassi è diventata l’utilizzo delle FFP2 per l’intera durata di un turno, spesso ben oltre la loro durata protettiva dichiarata. E’ frustrante vedere persone fare la spesa indossando FFP2, che potrebbero essere utili nei reparti. In alcuni casi il personale ha dovuto riutilizzare i camici impermeabili usa e getta. Non è stata sempre mantenuta un’adeguata divisione del personale addetto ai reparti COVID e non-COVID, specie negli spogliatoi comuni e scarsamente areati.
➡️ Che ruolo hanno avuto i Medici specializzandi in questa emergenza?
I Medici specializzandi, ossia Medici laureati e abilitati alla professione medica che stanno svolgendo il periodo di formazione specialistica (per divenire chirurghi, anestesisti, internisti ecc.) sono sempre stati un bene prezioso all’interno degli Ospedali Universitari. Costoro sono da considerare “studenti-lavoratori” che nel corso del periodo di specializzazione acquisiscono progressiva autonomia lavorativa, affiancando nei reparti i colleghi Specialisti e seguendo al contempo le lezioni universitarie. La loro dedizione non è sempre ricambiata in termini di considerazione professionale, formativa ed economica. Ho visto questa disparità tra diritti e doveri acuirsi con la situazione emergenziale. Vi è stato un aumento del carico lavorativo sia per coloro che, su base più o meno volontaria, hanno collaborato direttamente alla gestione dei pazienti COVID, sia per coloro che hanno proseguito l’attività nel proprio reparto di pertinenza non-COVID in situazione di organico ridotto. Di converso le lezioni universitarie sono state abolite ma pare improbabile che le tasse universitarie vengano ridotte. Gli specializzandi sono stati inoltre coinvolti in diversi studi clinici sul COVID-19 ma raramente ne risultano firmatari, cosa che li penalizzerà nel curriculum professionale. Molti di loro si sono ammalati perché in prima linea ma fortunatamente nel loro contratto di formazione è garantita la malattia e questi casi sono stati segnalati come infortunio sul lavoro. Complessivamente gli specializzandi hanno sopperito alla carenza di personale di ruolo e ancora una volta si è approfittato della loro presenza come mano d’opera a basso costo.
➡️ E gli specializzandi messi sotto contratto dalle Regioni e dalle Aziende Ospedaliere sono stati utili o potenzialmente dannosi?
Alcuni specializzandi agli ultimi anni di formazione hanno partecipato, al pari dei colleghi Specialisti, a un bando di concorso per lavorare nelle aree COVID. I contratti stipulati sono stati contratti temporanei di lavoro autonomo o co.co.co. con più di qualche riserva sulle loro tutele in caso di malattia. La loro responsabilità è pari a quella dei colleghi Dipendenti e il loro apporto è assolutamente valido, non certo dannoso. Com’era prevedibile, in molti casi ai “contrattisti” sono state assegnate molte più ore rispetto ai Dipendenti, spesso anche oltre le ore pagate da contratto, una manna per le Aziende che hanno avuto il lavoro di tre al prezzo di due.
➡️ Visite a distanza/utilizzo smartphone o tablet?
E’ stato necessario razionalizzare gli ingressi nelle stanze dei malati, al fine di ridurre l’utilizzo di DPI e il rischio di contagio. Per questo per i pazienti ricoverati si è utilizzata, quando possibile, la chiamata telefonica per chiedere aggiornamenti senza la necessità di entrare in stanza troppe volte nell’arco della giornata. Talvolta si sono organizzate chiamate o videochiamate tra paziente e familiari, utilizzando anche dispositivi personali, nei casi in cui i pazienti non fossero in grado di mettersi in contatto con il mondo esterno, aspetto che ha pesato non poco su complicanze come la confusione mentale e il delirium.
Per i pazienti extraospedalieri, ad esempio seguiti in ambulatorio o in Day Hospital, ho utilizzato molto la posta elettronica, come faccio abitualmente, per visionare esami di controllo, rinnovare piani terapeutici o rispondere a semplici dubbi.
➡️ Gestione delle necessità cliniche dei pazienti “non-COVID”?
Ho avuto la percezione che il focalizzarsi dell’attenzione pubblica esclusivamente sul COVID-19 portasse a trascurare tutte le altre patologie. Gli ospedali vengono percepiti come dei lazzaretti che debbono evitarsi a qualsiasi costo. Se da una parte questo si è tradotto in una benefica riduzione degli accessi impropri in Pronto Soccorso, dall’altra ha portato molti pazienti meritevoli di ricovero ad arrivare tardivamente in Ospedale. Ho osservato diversi casi di pazienti, perlopiù anziani, giunti alla nostra attenzione in condizioni critiche o addirittura terminali per patologie trascurate potenzialmente curabili.
➡️ La rete di cure territoriale pubblica/privata (lungodegenze, riabilitazioni, case di riposo) ha aiutato l’Ospedale?
Molti casi di COVID-19 sono stati gestiti nelle case di riposo o lungodegenze. Tuttavia la cronica carenza di una reale politica sanitaria pubblica territoriale si è fatta sentire nel momento dell’emergenza. Le strutture private stanno attualmente blindando i posti letto, con flusso unidirezionale dei pazienti verso gli Ospedali. Le strutture pubbliche territoriali, naturale valvola di sfogo degli Ospedali, sono al collasso. Le lunghe liste di attesa si traducono nell’inutile occupazione di posti letto ospedalieri per pazienti convalescenti. Questo comporta un enorme costo economico, una riduzione dei posti letto disponibili e possibili complicanze per i degenti stessi (ad esempio contrarre infezioni ospedaliere da germi resistenti agli antibiotici).
➡️ Si sarebbe potuto investire di più o meglio nella spesa sanitaria?
Riconosco che c’è stato uno sforzo tangibile di spesa sanitaria in seguito all’emergenza COVID-19. Tuttavia aumentare la spesa sanitaria una tantum non equivale ad investire sulla salute né bene né a lungo termine. Mi è parso che ciò sia servito più che altro ad ovviare alla cronica carenza di risorse e personale. Le decantate assunzioni di Medici sono state in buona parte con contratti di lavoro temporaneo non dipendente, con tutele scarse se non nulle: ferie non previste, malattia non contemplata, assenza di copertura assicurativa. Ecco i contratti degli eroi chiamati a lavorare nelle aree COVID, pronti a essere lasciati senza contratto una volta che tutto tornerà come prima. E’ proprio questo il timore di noi medici! Che tutto torni esattamente come prima, con scarsità di risorse e attenzione per i nostri reparti e i nostri malati. E’ bene sottolineare che l’emergenza COVID-19 è stata ed è fronteggiata in primis da rianimatori, urgentisti, internisti, infettivologi e pneumologi. Questi medici clinici hanno storicamente scarso potere contrattuale con le Direzioni Sanitarie Ospedaliere e le Regioni, in quanto abitualmente scarsi “produttori di DRG”. Per chi non lo sapesse il sistema dei DRG (diagnosis-related group) è il sistema che classifica ogni paziente dimesso dall’Ospedale a seconda della stima delle risorse economiche impiegate per il suo trattamento. Più tale stima/DRG è alta, più l’Ospedale è rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale. Sebbene il principio alla base di questo sistema sia nobile, cioè evitare sprechi economici, esso ha portato gli Ospedali a ragionare da vere e proprie Aziende. I clinici sono pressati a dimissioni sempre più precoci per accumulare DRG tipo catena di montaggio. Le (scarse) risorse sono sbilanciate verso i reparti Chirurgici, lasciando le briciole ai reparti che “producono” meno DRG (quelli Medici) che hanno la sola “colpa” di trattare malati complessi, difficilmente dimissibili e poco remunerativi. Lo scarso investimento in tali reparti (in termini strutturali, di personale e di dotazioni strumentali come ecografi e ventilatori) sono i nodi che sono venuti al pettine in questo periodo emergenziale. Ma andrà tutto bene, dopo questa breve parabola mediatica come eroi e angeli, torneremo senz’altro all’abituale oblìo!